Mi venne il sospetto di essere folle. Non potevo essere così sconsiderata da sottovalutare il mio stato di salute, solo per aver ritrovato un amico; più conoscente che amico a dire il vero.
Lo incontrai ad un suo concerto anni prima, ed amai subito il tocco delle sue dita sul pianoforte.
Volli recarmi nel suo camerino per onorare la sua arte sublime. Riuscii solo a pronunciare un complimento banale offerto con un sorrisetto stupido, tanta era la mia emozione. Lui fu gentilissimo. Cortese e semplice. Diverso dagli inarrivabili baroni della musica, barricati nella loro superbia. Lui mi sorrise, mi chiese di me. Gli parlai del mio amore per Mozart, Bach, Beethoven. Già, mi fece parlare... che strano. Avrebbe dovuto congedarmi in fretta, magari autografandomi il libretto di sala, per liberarsi di me. Tanto più che fuori dalla porta c'era una donna mora, che aveva tutta l'aria di essere sua moglie.
Ebbi inoltre la netta impressione che il maestro si trovasse a suo agio parlando con me. A posteriori capii che per lui una chiacchierata non impegnativa rappresentava un momento di sana evasione dai suoi pressanti impegni. Eppure i suoi occhi dicevano anche altro.
Gli ero simpatica, lo sentivo. E malgrado la sua bruna compagna guardasse insistentemente l'orologino d'oro al polso, Marcello si curava di ascoltare le insignificanti risposte che gli davo.
Non mi ero mai sentita a mio agio come allora; avvolta da una nube di benessere mentale e fisico, come se parlassi al mio angelo custode...
"Marco! E' tardi. Dobbiamo andare"
Come uno spillo che fa scoppiare una bolla di sapone, l'incanto finì al suono della frase asciutta e sicura della signora. Era evidente che il comando era il suo forte. Ed era altrettanto evidente che Marcello (gli aveva cambiato anche il nome!), era abituato a quel tono piuttosto militaresco, cui rispondeva pazientemente. Anche questa calma mi colpì; i pianisti che avevo conosciuto erano tutti nevrotici.
Sentendomi oltremodo imbarazzata, gli tesi la mano, che lui vigorosamente strinse.
Uscii dal camerino mentre lei vi entrava con passo svelto. Fu un attimo. Mentre le passai vicino notai gli occhi e la bocca.
Capii molte cose.
(continua)
Daniela Lucia Monteforte
tutti i diritti riservati
Lo incontrai ad un suo concerto anni prima, ed amai subito il tocco delle sue dita sul pianoforte.
Volli recarmi nel suo camerino per onorare la sua arte sublime. Riuscii solo a pronunciare un complimento banale offerto con un sorrisetto stupido, tanta era la mia emozione. Lui fu gentilissimo. Cortese e semplice. Diverso dagli inarrivabili baroni della musica, barricati nella loro superbia. Lui mi sorrise, mi chiese di me. Gli parlai del mio amore per Mozart, Bach, Beethoven. Già, mi fece parlare... che strano. Avrebbe dovuto congedarmi in fretta, magari autografandomi il libretto di sala, per liberarsi di me. Tanto più che fuori dalla porta c'era una donna mora, che aveva tutta l'aria di essere sua moglie.
Ebbi inoltre la netta impressione che il maestro si trovasse a suo agio parlando con me. A posteriori capii che per lui una chiacchierata non impegnativa rappresentava un momento di sana evasione dai suoi pressanti impegni. Eppure i suoi occhi dicevano anche altro.
Gli ero simpatica, lo sentivo. E malgrado la sua bruna compagna guardasse insistentemente l'orologino d'oro al polso, Marcello si curava di ascoltare le insignificanti risposte che gli davo.
Non mi ero mai sentita a mio agio come allora; avvolta da una nube di benessere mentale e fisico, come se parlassi al mio angelo custode...
"Marco! E' tardi. Dobbiamo andare"
Come uno spillo che fa scoppiare una bolla di sapone, l'incanto finì al suono della frase asciutta e sicura della signora. Era evidente che il comando era il suo forte. Ed era altrettanto evidente che Marcello (gli aveva cambiato anche il nome!), era abituato a quel tono piuttosto militaresco, cui rispondeva pazientemente. Anche questa calma mi colpì; i pianisti che avevo conosciuto erano tutti nevrotici.
Sentendomi oltremodo imbarazzata, gli tesi la mano, che lui vigorosamente strinse.
Uscii dal camerino mentre lei vi entrava con passo svelto. Fu un attimo. Mentre le passai vicino notai gli occhi e la bocca.
Capii molte cose.
(continua)
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