29 febbraio 2016

   LA TERAPIA DEL TEATRO

 seconda parte
  



Continua l'intervista al dottor Roberto Santi sull'arteterapia. Cerchiamo di capire come può il teatro alleviare la sofferenza quando non addirittura migliorare lo stile di vita del malato.

Che tipo di teatro ama scrivere?
Generalmente scrivo cose divertenti. Ho affinato poi negli anni l'abilità di riuscire a vedere il lato buffo e, se vogliamo, dissacrante, della realtà. Provo grande soddisfazione nel vedere il pubblico che si diverte mentre assiste alle mie commedie.
Quali patologie si possono "curare" con il teatro?
Non è possibile dare una risposta a questa domanda. O, per lo meno, non esiste una risposta rigorosamente scientifica. Ma da qui a dire che il teatro non abbia azione sul soggetto ne corre.
Ho applicato l'arteterapia in una casa circondariale e sicuramente questo progetto ha migliorato la qualità di vita dei detenuti che vi hanno partecipato. Purtroppo l'epidemiologia medica non possiede strumenti per misurare il benessere, unico ed indiscutibile parametro per giudicare lo stato di salute di un individuo.
Per essere più preciso riferirò due episodi chiarificatori. 
Il primo si riferisce al periodo in cui stavo preparando lo spettacolo "Commedia Sanitaria", durante il quale incontrai un collega medico che aveva in cura, per una sindrome ansioso-depressiva, una dipendente dell'USL, che intendeva cimentarsi in questa attività. Ne parlai con l'interessata alcuni giorni dopo. Mi disse che aveva aderito a questa esperienza trascinata da un'amica, e che aveva una paura folle di salire sul palco. Riuscì comunque ad entrare in scena, e quando alla fine ricevette gli applausi, lo splendido sorriso che le illuminò il volto fu il palese segno della sua personale vittoria. Dopo alcuni mesi incontrai il suo medico curante, il quale mi disse che dal giorno della prima non aveva avuto più bisogno di lui, né delle medicine che assumeva da anni.
Un altro episodio che reputo significativo è accaduto mentre stavo per portare in scena "Maschere", qualche anno fa. Il protagonista, un ventenne accusato di duplice omicidio, avrebbe dovuto affrontare il processo di primo grado proprio il giorno prima del debutto; alla prova generale non si presentò. Tutto il gruppo era costernato perché solo lui, con il suo raro talento naturale, avrebbe potuto portare in scena un personaggio così difficile e controverso. Era come se fosse stato il personaggio a scegliere l'interprete. Un'innata naturalezza nell'impersonare un difficile ruolo. 
Il verdetto fu ergastolo per aver premeditatamente ucciso i propri nonni.  Condanne molto più lievi  possono spesso causare gravissime depressioni. Si decise per un sostituto. Ma pochi minuti prima dello spettacolo la sua cella si aprì: "Incominciamo", disse sicuro. E fu un successo.


28 febbraio 2016

Rosa Rossa



perché 
lacrima
sgorga 

si fa petalo 
e scende

si fa lama
e taglia

si fa inchiostro
e incide

la mia condanna
verde porpora


Daniela Lucia Monteforte

Tutti i diritti riservati


20 febbraio 2016

buio male


Uscito dalla mia mente
ma non  partorito
mi condanni 
ed io obbedisco
sempre




Daniela Lucia Monteforte

Tutti i diritti riservati 

12 febbraio 2016

Il Barbiere di Siviglia compie 200 anni

...e Figaro si taglia le vene!
Gioachino Rossini

Ieri sera al Teatro dell'Opera di Roma è andata in scena una delle più famose ed amate opere liriche mai scritte. Un traguardo importante per Gioachino Rossini, che ha dovuto soffiare su duecento candeline, rivelatesi invece altrettanti candelotti di dinamite.
Se questo evento si fosse festeggiato con una prima alla Scala di Milano sarebbe stato sicuramente un trionfo. Sconosciuti in gran spolvero, cariatidi scintillanti, politici annoiati; tutti desiderosi di "esserci", avrebbero accolto la regia  dell'opera rossiniana come un'originale insieme di significati. Anche la stampa si sarebbe prodigata a celebrare il prodigio registico.
Ma sfortunatamente per Davide Livermore, il regista, tutto è avvenuto a Roma, con un pubblico interessato realmente all'opera più che alla propria toilette, spettatori insomma con reazioni vere; lo attestano gli applausi ai cantanti, piuttosto bravi, se teniamo conto dell'attuale materiale canoro, scarso o stressato dal surmenage che gli attuali ritmi artistici richiedono.
Livermore è colpevole di lesa maestà. Ha infatti egli violentato l'immaginario collettivo con esagerazioni ruffiane e prive di reale significato. Ha colpito al cuore la divina architettura di un'opera intoccabile, poiché già perfetta così come ogni melomane se l'immagina.
Il Barbiere è fine architettura, filigrana preziosa, seta delicata; ma anche forza, precisione, equilibrio. Un quadro ideale di armonia e giocosità.
Davide Livermore l'ho fatta davvero grossa; come maldestro pittore ha ricoperto l'inestimabile tela, col pretesto di darle nuova vita; ha mescolato maldestramente i colori sulla sua tavolozza; li ha spruzzati volutamente a casaccio sul capolavoro, affogandolo.
Un gioiello musicale sacrificato sull'altare del regista-star del momento.
Volutamente non parlerò dei cantati, che come ho detto ne sono usciti bene, ma estremamente sacrificati da mimiche estreme, sgambettamenti risibili e trucchi osceni. Non ne parlerò perché diversamente da quanto accadeva all'epoca di Rossini, quando le opere erano scritte in funzione della vocalità dei cantanti, oggi le star sono il regista o il direttore d'orchestra, vere e proprie prime donne della lirica. Per me che canto è deprimente leggere recensioni in cui talvolta non vengono neppure riportati i nomi dei protagonisti.
Cosa è rimasto della prima di ieri sera?
Un'anonima, tiepida direzione d'orchestra. Gli occhi delusi dei cantanti alla fine dell'opera, dopo la fatica della difficile performance. Gli orchestrali che applaudivano al Titanic che affondava. Un delirio di contenuti con i quali il regista ha preso in giro gli spettatori, impunemente; poiché ormai nelle regie, come nell'arte in genere, si presentano accozzaglie di contenuti senza significato; l'importante è stupire, essere diversi al fine di meritarsi fama, rispetto e cifre a molti zeri, sparando alla cieca.  
Ma soprattutto è rimasto Figaro, attonito, che ha deciso di tagliarsi le vene a duecento anni suonati.
Ah dimenticavo... è rimasto un orso. Un orso? Ma che ci faceva là? 
Lucia Montis

07 febbraio 2016

un grande maestro ci ha lasciato

CIAO SIFU

Sifu Rino Bacino

Recentemente ci ha lasciato Rino Bacino, il più grande maestro di arti marziali di tutti i tempi; forse meno popolare di Bruce Lee e Ip Man, ma geniale, intuitivo, eclettico ed unico. 
Ho intervistato uno dei suoi allievi più brillanti, Damiano Colonnacchi, che abbiamo già conosciuto su questo blog.

Chi era Rino?
Era il mio secondo papà. L'ho conosciuto da ragazzino in una palestra de La Spezia, dove lui insegnava judo con il maestro Novasconi, ma ho cominciato ad allenarmi con lui solo nel 1995. Era già da molti anni maestro di Wing chun Kung Fu.
Perché proprio un secondo padre?
Il termine sifu, significa non a caso padre. Non solo infatti come un padre mi ha insegnato con affetto e dedizione la disciplina marziale, ma mi ha anche seguito molto nella vita di tutti i giorni. 
Un rapporto d'affetto che spesso si trova nella letteratura delle arti marziali, ma che non così spesso è presente nella vita reale. Un maestro speciale quindi?
Sì. Un maestro che si preoccupa anche dei problemi dei suoi allievi. Nel mio caso si era instaurato un rapporto di stima reciproca già da subito. Col tempo poi mi sono reso conto di poter contare sempre su di lui non solo come maestro, ma appunto come un vero padre.
Perché Sifu Bacino è ritenuto un grande maestro?
Rino ha realizzato uno stile di Wing Chun invincibile; opinione non solo mia, ma anche di altri miei colleghi che lo hanno sperimentato. Io mi sono allenato con molti maestri di fama internazionale al top della loro categoria e la differenza che ho riscontrato rispetto a Sifu Bacino è colossale! Può sembrare un'esagerazione, ma chi ha maturato esperienze simili alla mia può testimoniarlo. Altrettanto abile è suo figlio Master Antonio Bacino.
Che tipo di uomo era fuori dalla palestra?
Amava la vita e la buona tavola. Era infatti un cuoco eccezionale. Ricordo di aver assaggiato piatti degni di ristoranti pluristellati. Aveva tempo fa aperto con sua moglie Anna un ristorante a La Spezia.
Io stessa ero amica di Rino e posso testimoniare la sua simpatia, dolcezza, intelligenza che, insieme ad i suoi insegnamenti porterò sempre con me. Ciao amico mio!


Damiano Colonnacchi si allena con Rino Bacino

Daniela Lucia Monteforte

06 febbraio 2016

A Rino

Ti seguo
fino alla
Sifu Rino Bacino
prossima porta
ma non ti volti.

Schiena 
lontana.

Solitario
il passo.
Solitari 
gli occhi
che indovino
sorridermi
azzurri.
oltre la porta.
Chiusa.


di Daniela Lucia Monteforte
tutti i diritti riservati