20 marzo 2017

L'ARTISTA (parte seconda)

  Quando tornai a casa, non ebbi desiderio di cenare, talmente ero emozionata. Turbata e felice.
Mi venne il sospetto di essere folle. Non potevo essere così sconsiderata da sottovalutare il mio stato di salute, solo per aver ritrovato un amico; più conoscente che amico a dire il vero. 
  Lo incontrai ad un suo concerto anni prima, ed amai subito il tocco delle sue dita sul pianoforte. 
Volli recarmi nel suo camerino per onorare la sua arte sublime. Riuscii solo a pronunciare un complimento banale offerto con un sorrisetto stupido, tanta era la mia emozione. Lui fu gentilissimo. Cortese e semplice. Diverso dagli inarrivabili baroni della musica, barricati nella loro superbia.   Lui mi sorrise, mi chiese di me. Gli parlai del mio amore per Mozart, Bach, Beethoven. Già, mi fece parlare... che strano. Avrebbe dovuto congedarmi in fretta, magari autografandomi il libretto di sala, per liberarsi di me. Tanto più che fuori dalla porta c'era una donna mora, che aveva tutta l'aria di essere sua moglie.
  Ebbi inoltre la netta impressione che il maestro si trovasse a suo agio parlando con me. A posteriori capii che per lui una chiacchierata non impegnativa rappresentava un momento di sana evasione dai suoi pressanti impegni. Eppure i suoi occhi dicevano anche altro.
Gli ero simpatica, lo sentivo. E malgrado la sua bruna compagna guardasse insistentemente l'orologino d'oro al polso, Marcello si curava di ascoltare le insignificanti risposte che gli davo. 
Non mi ero mai sentita a mio agio come allora; avvolta da una nube di benessere mentale e fisico, come se parlassi al mio angelo custode...
"Marco! E' tardi. Dobbiamo andare"
Come uno spillo che fa scoppiare una bolla di sapone, l'incanto finì al suono della frase asciutta e sicura della signora. Era evidente che il comando era il suo forte. Ed era altrettanto evidente che Marcello (gli aveva cambiato anche il nome!), era abituato a quel tono piuttosto militaresco, cui rispondeva pazientemente. Anche questa calma mi colpì; i pianisti che avevo conosciuto erano tutti nevrotici.
Sentendomi oltremodo imbarazzata, gli tesi la mano, che lui vigorosamente strinse.
Uscii dal camerino mentre lei vi entrava con passo svelto. Fu un attimo. Mentre le passai vicino notai gli occhi e la bocca. 
Capii molte cose.
(continua)

Daniela Lucia Monteforte
tutti i diritti riservati

08 marzo 2017

L'ARTISTA

  La sala d'aspetto era piena.  Non me l'aspettavo. In pieno periodo natalizio tutta quella gente.
Avevo paura dei virus e dei batteri sin da piccola; non mi piaceva la vicinanza del pubblico nei locali chiusi. Mi misi in un angolo ad aspettare il mio turno.     Avrei fatto notte a quel ritmo.
  Come era mia abitudine, mi misi ad osservare gli astanti. 
Quasi tutti erano pensionati; tranne una giovane mamma visibilmente stressata, che cercava di tranquillizzare i suoi due bambini imbronciati e contrariati; una ragazza sfavillante di fresca chirurgia plastica; un signore elegante e distinto, che leggeva un libro. Pochi seduti, molti in piedi, inclusa me.
  I più ciarlieri erano gli anziani; ed era mia convinzione che spesso andassero dal medico anche per avere un interlocutore con cui lamentarsi del governo e degli acciacchi.
Il ritmo di entrata dei pazienti era paurosamente lento. Eppure conoscevo bene i tempi veloci di visita che caratterizzavano il mio medico. Lo avevano scelto i miei quand'ero ragazzina, e più per pigrizia mentale che altro, lo tenni come medico anche per me, quando andai a vivere da sola.
Finalmente si liberò un posto a sedere. Mi accomodai vicino al signore assorto nella sua lettura. Cercai una rivista, ma rimasi disgustata alla vista di pagine stracciate e unte da chissà quali mani infette. Notai che invece il libro del distinto signore era in perfetto stato. "Bravo - pensai - l'hai portato da casa".
  Probabilmente quel pensiero mi fece sorridere, perché l'uomo in questione mi sorrise a sua volta alzando gli occhi dalle pagine. Ora che lo vedevo meglio, mi pareva di conoscerlo. Non ebbi tempo di pensarci troppo perché egli mi prevenne.
"Buonasera", mi guardò senza lo stupore dello sconosciuto.
"Buonasera", risposi.
"Come va ?"
La domanda lasciava intendere che egli mi conoscesse veramente. E mentre rispondevo che andava tutto bene, nonostante mi trovassi in uno studio medico, feci una veloce rassegna mentale delle mie conoscenze. Ma certo. Ecco chi era.
"Se non ricorda il mio nome, mi presento nuovamente - disse tendendomi la mano - Marcello Conti"
"Sì, lo so. Mi ricordo bene".
E sorrisi. 
(continua)



Daniela Lucia Monteforte
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